Risonanza Miocardica Cardiaca nella fase post-COVID 19.

Utile strumento per identificare precocemente problemi cardiaci

nella fase post-COVID19.

L’infezione da COVID 19 coinvolge molto frequentemente il sistema cardiovascolare e può essere causa di gravi complicanze quali tromboembolia polmonare, sindromi coronariche acute, aritmie, pericarditi e miocarditi. La malattia non è infatti caratterizzata da un’infezione limitata all’apparato respiratorio, ma è associata ad un processo infiammatorio sistemico che può interessare anche il cuore. Inoltre, alcune recenti evidenze in letteratura mostrano la possibile invasione diretta delle cellule cardiache da parte del virus. A riprova del coinvolgimento cardiaco, si assiste molto frequentemente durante l’infezione da COVID19 ad un innalzamento dei livelli ematici della troponina, indice di danno miocardico.

E’ bene notare che anche in pazienti che presentano una sintomatologia respiratoria lieve, sono state dimostrate alterazioni a carico dell’apparato cardiovascolare che persistono anche a distanza di diversi mesi dal superamento della fase acuta.  I pazienti con coinvolgimento cardiaco possono presentare sintomi quali il dolore toracico, le palpitazioni o la dispnea ma possono anche essere inizialmente asintomatici.

In particolare, la valutazione con risonanza magnetica cardiaca a distanza di circa due mesi dalla dichiarata guarigione da COVID19 ha mostrato in circa l’80% dei pazienti un coinvolgimento cardiaco più o meno grave ma spesso subclinico, a carico del miocardio e/o del pericardio.

La risonanza magnetica cardiaca è oggi considerata la tecnica di riferimento per la determinazione dei volumi e della funzione biventricolare. Inoltre, tale metodica permette di caratterizzare in maniera non invasiva il tessuto miocardico identificando edema e fibrosi. Recentemente, l’introduzione delle tecniche parametriche del T1 e T2 mapping, ha consentito con grande sensibilità il riconoscimento di una infiammazione ancora attiva, presente in circa la metà dei pazienti nella fase post COVID. La fibrosi, presente solo in un terzo dei pazienti in fase post acuta e associata ad una prognosi peggiore, è invece valutata dopo qualche minuto dalla somministrazione del mezzo di contrasto con sequenze denominate di late gadolinium enhancement (LGE).

La risonanza è infine una tecnica ottimale per lo studio delle pericarditi post COVID, permettendo non soltanto l’accurata quantificazione di un eventuale versamento pericardico ma anche il riconoscimento di un’infiammazione persistente dei foglietti pericardici.

Per tutte queste ragioni la risonanza magnetica cardiaca rappresenta lo strumento ideale per la valutazione del paziente che è stato affetto da infezione da COVID19 per l’identificazione precoce in fase post acuta di pazienti a rischio di sviluppo di scompenso cardiaco ed aritmie minacciose per la vita. 

FIGURA:

Fig. Immagini di risonanza magnetica cardiaca di un paziente con miocardite in fase attiva. A e B: sequenze per il T1- (A) e T2-mapping che mostrano un alterato segnale a livello della parete inferolaterale del ventricolo sinistro. C, D, E: sequenze tardive postcontrasto che evidenziano deposizione di gadolinio (late gadolinium enhancement, LGE) a livello della parete inferolaterale del ventricolo sinistro. Il quadro indica un danno cellulare con segni persistenti di infiammazione. 

BIBLIOGRAFIA

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Dott. Gianluca Pontone, direttore dipartimento imaging cardiovascolare Centro Cardiologico Monzino

Dott. Marco Guglielmo, staff member area imaging cardiovascolare

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